lunedì 30 giugno 2014

Carneade: l'uomo che insegnava a pensare (di Leone Montagnini)

Carneade è stato un filosofo che, con la sola forza della parola, ha messo paura alla grande Roma. Eppure oggi essere un "carneade", sulla scia dell'interrogativo di don Abbondio, in Italia significa essere uno sconosciuto.

Visse tra il 214 e il 129 a.C. Nato a Cirene, si stabilì ad Atene, dove divenne il capo dell'Accademia, la scuola che era stata fondata da Platone nel V secolo a.C. Da tempo gli accademici avevano cominciato a seguire un indirizzo molto diverso da quello del loro fondatore. Seguivano la tradizione scettica, di coloro cioè che dubitavano su tutto per prima cosa. "Sképsis" in greco antico significa "dubbio".

Alcuni secoli dopo Carneade, Sant'Agostino introdusse la formula del cogito, proprio confrontandosi con il modo di pensare degli accademici scettici del suo tempo. Ragionava così, Agostino, uomo franco, lucido, abituato a confrontarsi con gli altri e con la propria coscienza, giovane in cerca di certezze innanzitutto per la propria vita: dubito, perciò sto pensando. Ma se sto pensando allora esisto, e questa almeno è una verità indubitabile a cui mi posso aggrappare. In latino il ragionamento è Dubito, ergo Cogito, ergo Sum. Mille anni dopo Agostino, Cartesio apprese il ragionamento da Tommaso Campanella e, senza citare né Campanella né Agostino, lo fece passare per suo.

Degli scritti di Carneade non c'è rimasto nulla. Solo qualche commento posteriore di altri, soprattutto di Cicerone, che era uno scettico moderato.
Dal 146 a.C. la Grecia era divenuta ormai stabilmente una provincia di Roma. "Provincia" discende da "vinctus": era una regione conquistata, posta sotto il giogo romano. La prima provincia era stata la Sicilia, che Roma aveva conquistato, dopo aver debellato la presenza cartaginese e costretto alla resa la fiera Siracusa, strenuamente difesa con le sue macchine da Archimede, eminente fisico e matematico.
Sotto il giogo dell'imperialismo romano, sebbene Roma fosse ancora retta nella forma della repubblica (cioè governata dal Senato), Atene non ebbe più nessuna autonomia politica dopo la conquista, se non qualche privilegiuccio che Roma si degnò di concederle: qualche sgravio fiscale, in cambio dell'onere di raccogliere i tributi per conto di Roma. Era uno stile un po' mafioso tipicamente romano; lo fecero con Taranto, con Siracusa, con Atene e con tante altre città.
Il fatto più importante nella biografia di Carneade è un'ambasceria che fece a Roma insieme ai capi delle altre due scuole di spicco sopravvissute ad Atene: la scuola aristotelica di Critolao e quella stoica di Diogene di Babilonia. I tre capiscuola (o scolarchi) si recarono a Roma per difendere gli interessi di Atene, lesi da una cittadina vicina. Ormai la dialettica, cioè il saper argomentare bene, come fanno gli avvocati bravi in tribunale, era l'unica arma rimasta della grandeur ateniese.

Durante il soggiorno a Roma, molti romani, tra cui molti senatori, andarono a sentire questi filosofi greci di cui si favoleggiava da tempo. Carneade parlò per due giorni, scegliendo come argomento la giustizia. Il primo giorno sostenne che la giustizia è universale, che tutti gli uomini hanno un senso innato del giusto e dell'ingiusto.
Possiamo immaginare quanto siano state contente le élites romane di fronte a questo discorso; loro, così orgogliosi del proprio diritto, lo ius, ius che pretendevano di estendere a tutta la terra.
Ma Carneade seguiva un metodo dialettico, chiamato antilogico: diceva una cosa convincente un giorno ed il suo contrario, altrettanto convincente, il giorno dopo. Lo faceva per far sorgere il dubbio nell'ascoltatore e farlo pensare (come bene avrebbe capito Agostino: Dubito, ergo cogito; mi sorge un dubbio, così comincio a pensare).
Ci provi anche il lettore. Di fronte a qualsiasi conoscenza data per scontata, provi a negarla ed a cercare delle ragioni plausibili per questa negazione. Esempio di fantasia: Paola è bionda; ma sono sicuro che sia davvero così? E se fosse bruna e si tinge i capelli? Mi raccomando. Se scoprite che è bruna, non date troppo peso alla cosa. E' un infingimento veniale. Lo ha fatto per sembrarvi più bella. Sono ben altri gli infingimenti a cui stare attenti, innanzitutto quelli del potere.

Carneade fece allo stesso modo. Il secondo giorno, tornò a parlare della giustizia, ma questa volta cambiò punto di vista. Spiegò che, certamente, era vero che questo concetto è universale. Ma aggiunse che, tuttavia, non si può esser certi che ciò che è ritenuto giusto in un paese, lo sia anche in un altro. Per alcuni il furto è ingiusto, mentre - per esempio - per i pirati dell'Illiria che assaltavano le navi evidentemente non lo era. D'altronde pretendere i tributi - aggiungo io, interpretando il pensiero di alcuni ascoltatori di allora - per Roma era giusto, ma a molti sudditi di Roma poteva apparire nient'altro che un'indebita estorsione (ricordate nel Vangelo, le lamentele circa a chi si dovessero pagare i tributi: a Cesare o al Tempio?).
E cosa dire dei dazi posti alle navi per attraversare certi passaggi naturali obbligati, come le Colonne d'Ercole o lo stretto dei Dardanelli.
Un altro esempio, spostandoci di più di mille anni in avanti. Pensiamo a Sir Francis Drake, che forzò il monopolio del commercio con le Americhe imposto dalla Spagna, mediante una guerra di corsa per conto della corona inglese: gli inglesi lo fecero Sir, gli spagnoli lo ritennero un pirata, un criminale internazionale, un bandito.

Ma torniamo a Carneade. Sentito il secondo discorso i senatori romani si infuriarono a tal punto da rimandare prontamente a casa i tre ateniesi, consapevoli che quelle idee rischiavano di turbare l'ordine mentale romano. Diedero ragione ad Atene nella pendenza che li aveva portati a Roma, ma promulgarono un editto che proibiva ai filosofi di metter piede a Roma nei secoli a venire. Che la peste del dubbio resti fuori di Roma il più a lungo possibile!

Tale editto, pur abolito, per molti versi resta ancora valido, se consideriamo che la damnatio memoriae (pena inflitta dai romani consistente nel cancellare la memoria del condannato presso i posteri) a cui è stata sottoposta la figura di Carneade, permane ancora oggi.

Leone Montagnini ©

domenica 29 giugno 2014

L'assassinio di Jean Jaurès. Il vero colpo che fece scoppiare la Grande guerra (di Leone Montagnini)

Il 31 luglio 1914 Jean Jaurès (1859-1914) fu ucciso da un colpo di pistola.

Jaurès cresce nell'agone politico a fianco delle dure lotte dei minatori francesi mediante lo strumento dello sciopero contro lo strapotere dei grandi gruppi finanziari. Nel 1902 è tra i fondatori del Parti socialiste français. Nel 1904 fonda L'Humanité. Il disegno del giornale è lo stesso del partito: unificare le forze socialiste ed operaie.
In quegli anni i socialisti europei sono una grande forza, sotto l'ombrello dell' "Internazionale Operaia" o Seconda Internazionale, fondata da Friedrich Engels. L'arma contro la guerra escogitata dall'impetuoso movimento operaio tra fine Ottocento e l'inizio del Novecento è lo sciopero generale ad oltranza di tutti gli operai di tutti i paesi europei, in caso di dichiarazione della guerra.
La guerra mondiale non scoppia in un attimo, come si fa credere. La Russia il 30 luglio ha mobilitato. Il 31 ancora la Francia sua alleata esita. Sta a vedere cosa fanno i tedeschi, che hanno solo dichiarato uno stato di minaccia di guerra, dopo la mobilitazione di Austria-Ungheria.
Forse non tutto è perduto. La sera del 31 luglio, Jean Jaurès esce dal café du Croissant, dove ha cenato. E' venuto anche per il movimento operaio internazionale il momento della mobilitazione in grande stile del suo piano antiguerra. Jaurès sta per recarsi all'Umanité per suonare le sue trombe: domani 1° agosto 1914, il mondo lo sentirà, almeno dovrebbe sentirlo, tuonare dalle colonne del giornale l'appello allo sciopero generale internazionale ad oltranza contro la guerra.
Ma dall'ombra, una mano assassina estrae una pistola e spara. Due colpi. Uno colpisce Jaurès alla testa, mortalmente. Da tempo molti altri oscuri ceffi si muovevano per l'Europa nell'ombra o pubblicamente per fomentare più o meno scientificamente la guerra. Nel 1918 questi incendiari fanatici o prezzolati saranno riusciti a far massacrare tra loro almeno 15 milioni di persone.
Per anni la piramide statistica delle età della popolazione di tutti i paesi europei porterà un morso nelle generazioni di uomini nati tra il 1895 al 1899.
Per ricordare degnamente l'inizio di questa guerra rabbiosa, senza armistizi, invito a vedere il film L'uomo che ho ucciso [tit. orig.: Broken Lullaby], del 1932 diretto da Ernst Lubitsch.
Come di Jean Jaurès, molti lettori non avranno mai sentito parlare nemmeno di questo film, così pacifista.
Non è un caso: gli oscuri ceffi che girano per il mondo a seminar zizzania, a gettar benzina ora da un lato, ora dall'altro dei confini, ci sono ancora, ed evidentemente non vogliono che certe cose si sappiano troppo in giro.

Leone Montagnini©

venerdì 27 giugno 2014

La Matita spaziale ovvero Bufale, ControBufale e ControControBufale (di Leone Montagnini)

Riproduco qui un mio intervento di 11 anni or sono in un Forum molto interessante della Fondazione Giannino Bassetti, emendato solo di alcuni refusi. Il tema su cui si discuteva era più o meno "OGM sì OGM no". Ritengo che non sempre la tecnologia migliore sia quella tecnologicamente più complessa. Uno psichiatra mi aveva, qualche giorno prima, raccontato che i sovietici per scrivere nello spazio senza gravità se l'erano cavata con le matite, mentre gli americani avevano fatto grossi investimenti per sviluppare una penna a sfera pressurizzata. Mi sembrava un esempio calzante. Ma un altro iscritto al Forum mi contestò che la storia da me raccontata era una leggenda metropolitana: le matite sono pericolose nello spazio ed è meglio la penna pressurizzata. Dato che non sono tipo da raccontar balle, almeno deliberatamente, andai a fondo nella faccenda e scoprii che le cose erano molto più complicate di quello che sembrava. Buona lettura.

Commento di Leone Montagnini, scritto Mercoledì 1 Ottobre 2003 alle 22:03


"LA MATITA SPAZIALE" ovvero "BUFALE, CONTROBUFALE E CONTROCONTROBUFALE"


Una metastoria di Leone Montagnini

PROLOGO

Alphonse Vajo ha sollevato dei dubbi circa la storia delle matite spaziali da me raccontata. Vuol sapere dove l’ho letta. Non l’ho letta: quando ne ho scritto, nel mio primo intervento, mi era stata appena raccontata da un neuropsichiatra che me la citava come un esempio di pensiero creativo (il pensiero laterale). A me la storia era piaciuta in quanto richiamava alla mente in maniera icastica il fatto che non sempre innovazione tecnologica significa tecnologia ad alta complessità. Mi sarebbe stato sufficiente riferire la vicenda come un esempio istruttivo, verosimile se non vero, ma dato che Alphonse Vajo mi ha fatto sorgere parecchi dubbi, ho voluto approfondire la questione. Ne è emersa una "metastoria" ancor più istruttiva, perché ci aiuta a capire come i discorsi in generale e quelli sulla tecnica in particolare possano essere spesso manipolati e metamanipolati.

ATTO PRIMO

Per prima cosa ho fatto una ricerca su internet ed ho trovato il sito Snopes, sito in inglese che cerca di scovare le bufale. Vi si definiva falsa e come assimilabile ad una leggenda metropolitana una storia che spesso si racconta (io in verità non l’avevo mai sentita) secondo cui gli USA avrebbero speso 1,5 milioni di dollari in penne pressurizzate, mentre l’URSS se la sarebbe cavata egregiamente con le matite (cfr. http://www.snopes.com/business/genius/spacepen.asp). Secondo Snopes si scoprì presto che le punte si spezzavano, galleggiavano nell’abitacolo, potevano essere ingerite, erano infiammabili, potevano provocare corto-circuiti. Per fortuna nel luglio del 1965 l’imprenditore americano Paul Fisher investì un milione di dollari per realizzare una biro pressurizzata che vendette alla NASA al prezzo simbolico di 2,95 dollari l’una (ne vendette 400 per una sola missione). Nota bene: Snopes rimanda al sito della Fisher, dove si possono acquistare on line Space pens da 22,50 dollari in su.

ATTO SECONDO

Trovo un sito italiano (http://attivissimo.homelinux.net/antibufala/biro_spaziale/ biro_spaziale.htm) che riprende direttamente le informazioni di Snopes, citandolo, ma aggiungendo anche accortamente quanto segue: "secondo il sito della Fisher, il primo utilizzo della biro spaziale avvenne a bordo dell'Apollo VII, nell'ottobre del 1968. Tuttavia le matite non sono affatto scomparse dal programma spaziale: una rapida ricerca negli archivi online della NASA usando la parola chiave pencil rivela che le matite sono usate anche a bordo della navetta spaziale (la didascalia della foto disponibile infatti parla di tethered pencils, ossia di matite trattenute da una cordicella)".

EPILOGO

A questo punto ho voluto approfondire la faccenda ed ho scritto una mail a Franco Malerba, il primo astronauta italiano, che ha volato nello spazio sullo shuttle Atlantis nel luglio 1992. Gli ho scritto la seguente mail:

"Gentilissimo Prof. Franco Malerba
nel corso di una discussione sull'uso della tecnica si è parlato della questione di come si scrive nello spazio, con le matite, con le penne Fisher, col computer? Mi tolga una curiosità: Lei quando andò nello spazio con cosa scriveva?

La ringrazio in anticipo

Cordiali saluti. Leone Montagnini"

Colpo di scena! Ecco la sua sintetica ma istruttiva risposta:

"Esistono delle penne 'spaziali' con una cartuccia/refill pressurizzata, ma a mia esperienza anche penne a sfera normali funzionavano abbastanza bene. Comunque la matita (con la grafite ricambiabile) era una soluzione ottimale. Cordiali saluti, Franco Malerba".

Mi si perdoni se anche con questo intervento posso essere sembrato "fuorviante" ma essa è piuttosto esemplare nel mostrare come il nostro presente sia opaco dal punto di vista informativo. Sempre per restare sul terreno della comunicazione, ma senza abbandonare quello dell’economia (di una economia rigorosamente liberista e neoclassica), vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che le notizie hanno sempre un peso economico: una informazione anti-OGM riduce la preferenza per gli OGM, facendone diminuire la domanda, e tale effetto fa aumentare la domanda dei beni succedanei (cioè alternativi); una informazione pro-OGM ha l’effetto opposto. Esiste un oggettivo [interesse] americano ed europeo ad amplificare le informazioni sulla SARS, che riducono le importazioni dalla Cina e dintorni; mentre ce n’è uno a mettere a tacere le notizie sulla BSE e la sua variante umana, che riducono drasticamente la domanda di carne bovina. Che fare?

[...]

Cordiali saluti, Leone Montagnini.

L'originale è ancora reperibile sul sito della Fondazione Giannino Bassetti, al link "http://www.fondazionebassetti.org/it/itframeset.php?content=http://www.fondazionebassetti.org/06/cfc/000147.htm"

giovedì 26 giugno 2014

Sull'esistenza di Dio (di Leone Montagnini)

Sull'esistenza di Dio [mia riflessione del marzo 2004]
La presente riflessione scaturì sulla mailing list del Sito Web Italiano di Filosofia (SWIF) nel marzo 2004. Proponevo in esso una riflessione circa una domanda sull'esistenza di Dio che era stata posta da una persona sul sito. Una domanda che aveva rotto le regole del sito, dedicato come lo è ancora oggi alla diffusione di notizie cirva eventi filosofici. Negli anni le mie posizioni sull'argomento sono rimaste invariate e dunque vorrei riproporle in questo mio blog.
Chiedo al lettore di non assimilare questo post agli altri di natura cibernetica. Sono un filosofo che ha sempre avuto scarsissime possibilità di esprimere in forma pubblica le proprie idee più tipicamente filosofiche. Finora ne ho parlato con chi incontravo, socraticamente. Ora sento il desiderio di farlo per iscritto, pubblicamente, su questo mio Blog, che può così aprire al lettore uno spiraglio sul mio io più autentico di filosofo pensante.


SCRIVEVO NEL MARZO 2004 [Riproduco le riflessioni di allora emendando solo qualche refuso e ripulendo il testo]

Mi si permetta di proporre all'attenzione dei cortesi studiosi alcune mie riflessioni scaturite dalla mail sull'esistenza di Dio. Per errore avevo all'inizio risposto soltanto alla Gentile Teresa Bettini, ma preferisco presentarle a tutti.

In una prima mail ho scritto:

Sareste in grado di dimostrare che io esisto, o che voi stessi esistete? Io credo che nemmeno nel fare questo potreste riuscire. Forse però potete mostrarlo, e questo vale forse anche per Dio.

Leone Montagnini


Teresa Bettini mi ha risposto [sempre sul SWIF]:
Caro Leone,
certo è difficile anche dimostrare l'esistenza delle persone.. l'esistenza di Dio poi non ne parliamo. Mi hai fatto venire in mente una proposizione del Tractatus di Wittgenstein: "Ma vi è dell'ineffabile, esso mostra sè. E' il Mistico". Forse si manifesta, si mostra a noi, ma mentre degli individui ciascuno ha sensazione, e quindi si mostrano, si manifestano, di Dio non proprio. Bisognerebbe intenderci su manifestare, o mostrare. Che dici? Ti ringrazio della tua risposta! Un saluto Teresa

Gli ho ulteriormente risposto spiegandogli la mia posizione.
Cara Teresa volevo rispondere mandando la mail a tutti. Mi sono sbagliato e l'ho mandata solo a te. Comunque sono molto contento che mi hai risposto, perché è molto difficile oggi filosofare con qualcuno. Nella mia mail ho presentato in realtà una tesi su cui ho molto riflettuto. Noi non possiamo dimostrare l'esistenza di nulla. Possiamo costruire delle teorie, quello sì. La stessa cosa vale per Dio. Il numinoso quello sì che esiste. L'eventuarsi del divino nella vita e nella storia dell'uomo. Si possono costruire buone teorie antropologiche, psicologiche, storiche del numinoso. Classicamente si ritiene che Dio sia escluso dal Tractatus. E che la riabilitazione del linguaggio non formalizzato che otteniamo con le Ricerche filosofiche riesca a riabilitare anche il linguaggio religioso. Vi sono alcuni filosofi analitici che hanno lavorato in questa direzione. Ma forse Dio si può dire anche dentro il Tractatus. Vedi, in fondo la posizione di Wittgenstein (o forse solo dei suoi seguaci neopositivisti) è quella degli epicurei: gli dei non ci sono e se ci sono se ne stanno in un mondo a parte e non hanno nessun rapporto con noi. In tal senso Dio non ha realtà fenomenica e, giustamente, non è dicibile. Ma se Dio c'è, in generale, se il numinoso c'è, allora non può essere tutto come se non fosse. La tesi classica è: Dio c'è perché ci sono le religioni. Io ribalterei la questione: le religioni ci sono perché c'è Dio, ovvero, perché c'è il numinoso. Il numinoso è fenomenologicamente descrivibile, è sostanzioso. Il numinoso si può vivere. Ho sempre ritenuto che nel volere "dimostrare" l'esistenza di Dio, vi sia una qualche violenza. C'è una imposizione di una verità ad un altro. Attraverso questo non passa Dio. Dio, o meglio il numinoso, si esperisce nella libertà. Nota che Gesù, Buddha e Socrate non scrivono nemmeno. Non possiamo inchiodare la verità, scrivendo, dimostrando. Qualsiasi scrittura e qualsiasi dimostrazione sono affidate all'interprete. Se vuoi capire, capisci, per questo dico: Dio si può mostrare. Anche Gesù, Buddha, e Socrate mostrano, indicano. Quante volte Gesù ripete: "chi ha orecchie per intendere intenda". Oppure dice "vieni e vedi". Credo che il filosofo abbia la possibilità di avere un rapporto col divino senza negare se stesso. Egli cerca la verità nella libertà, in questo troverà Dio se Dio è verità.

Grazie per l'attenzione
Leone Montagnini ©

L'originale è ancora reperibile all'indirizzo: https://uk.groups.yahoo.com/neo/groups/notizie-filosofiche/conversations/messages/2821